Le parole del coronavirus
Quali sono le parole di uso più comune relative all’epidemia da coronavirus.

In questo periodo di coronavirus (COVID-19) tra TV e giornali si sentono sempre tante parole che a volte sono poco chiare e che possono portarci maggiormente ad avere paura e frustrazione.
Credo che conoscere le cose e poterle analizzare in molti casi aiuti a renderle meno paurose.
Per questo, in questo articolo andremo a vedere quali sono le parole di uso più comune, sempre relativamente all’epidemia da coronavirus, che possiamo sentire o leggere in questo periodo.
Epidemia
Quando si parla di epidemia, si intende una manifestazione frequente e soprattutto localizzata, ma che al contempo è limitata nel tempo, di una malattia infettiva e che viene trasmessa dalla diffusione di un virus.
Una epidemia si verifica quando un soggetto ammalato contagia più persone e il numero di casi di persone ammalate aumenta in breve tempo.
Per potersi diffondere, l’infezione, la popolazione deve essere costituita da un numero sufficiente di soggetti suscettibili.
Focolaio epidemico
Solitamente si parla di focolaio epidemico nel caso in cui una malattia infettiva provochi un aumento nel numero di casi rispetto a quello che ci si attende all’interno di una determinata comunità o di una zona ben circoscritta.
Per poter individuare l’origini di un focolaio, cosa molto utile per provare in qualche modo a limitare il contagio, si procede con un’indagine epidemiologica dell’infezione, che si esegue andando a tracciare una mappa degli spostamenti delle persone colpite.
Letalità e mortalità
Questi sono due delle parole che spaventano di più ma che se comprese, possono fare meno paura.
Quando si parla di letalità in medicina, ci si riferisce al numero di morti relativo al numero di malati di una certa malattia entro un determinato periodo di tempo.
La letalità viene usata come misura della gravità di una malattia e viene usata in particolar modo per le malattie infettive acute.
La mortalità, che molto spesso viene confusa con la letalità, è concettualmente differente e può portare a risultati molto diversi, in quando in questo caso si mette in rapporto il numero di morti per una determinata malattia (o addirittura per tutte le cause correlate alla malattia) sul totale della popolazione media presente nello stesso periodo di osservazione.
Quindi può accadere che, esistono malattie che avendo una letalità altissima, hanno una mortalità insignificante, in quanto i casi di morte sono poco frequenti nella popolazione totale.
Per quando riguarda il coronavirus (COVID-19) siamo in presenza di un virus dalla discreta letalità, e almeno attualmente, da una bassissima mortalità.
Questa distinzione tra il tasso di letalità e quello di mortalità è importantissimo e sostanziale, in quanto serve sia per fare chiarezza sull’impatto che il virus può avere sulla popolazione, sia per poter decidere strategie e azioni di sanità pubblica.
Un altro fattore che possiamo evidenziare e comprendere da questa distinzione e l’importanza di contenere la diffusione del contagio, questo perché, è logico che se aumentasse il numero dei contagiati di conseguenza aumenterebbero anche i casi di mortalità.
Pandemia
Con il termine pandemia si intende la diffusione di un virus o di un agente infettivo qualsiasi in più continenti o comunque in vaste aree del mondo.
La cosiddetta fase pandemica è caratterizzata da una trasmissione del virus alla maggior parte della popolazione.
Secondo l’OMS, attualmente, il coronavirus (COVID-19) è una pandemia.
Quarantena
La quarantena è un periodo di isolamento e di osservazione, dalla durata variabile, che viene richiesta alle persone che potrebbero avere i germi che sono responsabili della mattia infettiva.
Il termine quarantena, fa riferimento alla sua durata originaria di quaranta giorni, che si applicava rigorosamente in passato.
Oggi, dopo che gli studi hanno dimostrato la variabilità del periodo di incubazione di una malattia, il periodo di quarantena è variabile.
Nel caso del coronavirus, la misura di quarantena è fissata in quattordici giorni e si applica alle persone che hanno avuto dei contatti stretti con dei casi confermati di COVID-19 (Ordinanza del Ministro della Salute, Gazzetta Ufficiale 22 febbraio 2020, immediatamente in vigore).
Sensibilità e specificità
La sensibilità e la specificità sono i due criteri che vengono utilizzati per valutare la capacità che ha un test diagnostico o di screening nell’individuare correttamente le persone hanno la malattia e quelle che invece ne sono privi.
La sensibilità di un test è quindi, la sua capacità di identificare correttamente gli individui malati.
Bisogna anche dire però che anche se un test ha una sensibilità alta, questo da solo non è sufficiente.
Un Buon test deve anche identificare come positivi soltanto le persone che sono affette dalla malattia ed è quindi necessario che tra i risultati positivi vi siano inclusi il minor numero possibile di persone che non hanno la malattia (i cosiddetti falsi positivi).
Da questo deriva fuori il concetto di specificità.
La specificità in un test è la capacità di identificare correttamente i soggetti che sono afflitti dalla malattia e di identificare anche correttamente i soggetti che la malattia non l’hanno contratta.
Soggetto “asintomatico”
Con il termine soggetto “asintomatico”, si indica una persona che nonostante sia affetto da una malattia, non presenta apparentemente alcun sintomo.
Una malattia può rimanere asintomatica per diversi periodi di tempo, brevi o lunghi a seconda dei casi, o in alcuni casi rimanere asintomatiche anche per sempre.
Dagli studi effettuati fino a questo momento, sembra che, sia possibile che ci siano persone affette dal coronavirus (COVID-19) che sono asintomatiche, tuttavia secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, le persone sintomatiche, cioè quelle che presentano i sintomi più evidenti della malattia, sono la causa più frequente di diffusione del virus.