Il test che svela se il tuo farro è davvero italiano: quello che i supermercati non vogliono che tu sappia

Quando il prezzo del farro scende drasticamente negli scaffali del supermercato, è importante interrogarsi sulla sua provenienza. Dietro confezioni con richiami alla tradizione italiana può celarsi la realtà di cereali importati da paesi dove i controlli su pesticidi e qualità sono mediamente meno stringenti rispetto all’Italia, venduti come prodotto nazionale. I prezzi del farro e di altri cereali in Italia sono fortemente influenzati dal rapporto tra prodotto locale e importato, e le oscillazioni dipendono sia da dinamiche congiunturali che dalle fonti di approvvigionamento.

I trucchi dell’etichettatura: quando “italiano” non significa italiano

Il principale inganno si trova nell’etichetta. Molti produttori utilizzano diciture evocative come secondo la tradizione italiana o “ricetta della nonna”, oppure impiegano la bandiera tricolore, senza dichiarare esplicitamente la provenienza delle materie prime. La normativa italiana ed europea prevede l’obbligo di indicare l’origine per alcuni prodotti, ma per il farro non è sempre obbligatorio dichiarare il paese di coltivazione, specialmente se lavorato o confezionato altrove.

Il prodotto proveniente da Romania, Bulgaria o altri paesi dell’Est Europa è spesso venduto a prezzi inferiori rispetto al farro italiano, per ragioni legate alla diversa normativa sui fitofarmaci e ai costi di produzione. Le serie storiche dei prezzi all’origine e i dati di produzione italiana di farro mostrano rese per ettaro modeste rispetto ad altri cereali, giustificando il differenziale di prezzo tra prodotto nazionale e importato.

Dove cercare la vera origine del prodotto

La provenienza si può talvolta desumere dall’indicazione dello stabilimento di produzione, identificato nella dicitura “Prodotto da” o “Confezionato da”. Il codice può indicare la nazione, ad esempio “RO” per Romania o “BG” per Bulgaria, ma in Italia non esiste un obbligo di uniformità nella codifica nazionale dei siti di confezionamento. Il prefisso può riferirsi alla provincia italiana o al paese, quindi va letto con attenzione all’intero codice.

È bene sfatare alcune credenze popolari: non esistono studi scientifici che confermino che il peso specifico del chicco o il suono della confezione siano indicatori affidabili della provenienza geografica o della qualità. Le differenze dipendono da varietà, condizioni agronomiche e tecniche di lavorazione. Il farro italiano coltivato in aree vocate come Toscana o Abruzzo può presentare chicchi più pieni per via delle condizioni di crescita locale, ma questo non costituisce un metodo di valutazione universale.

Le differenze qualitative che pesano sulla salute

I controlli sui residui di pesticidi variano tra paesi produttori. In Italia sono particolarmente stringenti per sostanze come glifosato e neonicotinoidi, mentre in altri paesi UE possono essere ammesse concentrazioni più alte, e in alcuni paesi extra-UE certi principi attivi vietati sono ancora utilizzati. Gli standard qualitativi previsti dal regolamento UE 396/2005 stabiliscono che ogni lotto importato deve rispettare i limiti massimi di residui fissati dall’Unione, ma la frequenza e il rigore dei controlli possono variare.

Analisi di laboratorio effettuate su prodotti agricoli commercializzati in Italia evidenziano differenze significative. I residui di pesticidi, anche sistemici, possono trovarsi all’interno del chicco stesso, mentre le micotossine rappresentano composti tossici prodotti da funghi e muffe causate da condizioni di stoccaggio eccessivamente umide. Anche i metalli pesanti risultano più frequenti in zone dove l’agricoltura insiste su terreni industriali o mediante fertilizzanti non certificati.

Valutare la qualità: metodi professionali vs miti da sfatare

Contrariamente a quanto si legge spesso online, il cosiddetto “test dell’ammollo” non è un metodo scientifico per valutare la qualità del farro. Lasciare i chicchi in acqua per 24 ore e valutarne morfologia e odore fornisce indicazioni soggettive, strettamente legate alla varietà e alla lavorazione, non alla provenienza o qualità intrinseca.

Per la valutazione professionale dei cereali vengono utilizzate procedure analitiche specifiche in laboratorio, come l’esame della percentuale di chicchi rotti, il contenuto proteico e il livello di impurità. Anche la quantità di schiuma durante la cottura, spesso citata come indice di residui chimici, è in realtà attribuibile a fattori come il contenuto di proteine o amido del cereale.

Prezzi sospetti: quando l’affare nasconde l’inganno

Il prezzo del farro italiano biologico all’origine si attesta negli ultimi anni tra circa 325 e 405 euro a tonnellata, ossia tra 3,25 e 4,05 euro al chilogrammo all’ingrosso, variabile secondo stagione, varietà e regione. Allo scaffale, il prezzo può superare i 3 euro al chilogrammo per il prodotto di qualità e origine italiana, mentre il prodotto importato può essere venduto a prezzi significativamente inferiori.

Vendite al dettaglio sotto i 2 euro al chilogrammo sono spesso indicatori di un prodotto di origine estera o di qualità inferiore, come risulta dai dati di prezzo e di costo colturale. La presenza di offerte particolarmente aggressive è correlata a lotti vicini alla scadenza o di produzione industriale in paesi con costi e rese diverse.

Riconoscere le varietà autentiche

Il farro italiano è suddiviso in tre specie principali: il farro piccolo (Triticum monococcum), il farro medio (Triticum dicoccum) e il farro grande (Triticum spelta). Ognuna presenta caratteristiche morfologiche specifiche documentate in letteratura agronomica.

Il farro della Garfagnana è noto per i suoi chicchi allungati e scuri, mentre il farro coltivato in Abruzzo ha una colorazione più dorata. La presenza di chicchi troppo uniformi spesso indica processi di selezione industriale, anche se non può essere considerata indice certo di provenienza estera. La biodiversità locale si esprime in una maggiore variabilità morfologica, elemento che caratterizza le produzioni artigianali rispetto a quelle industriali.

Scegliere consapevolmente significa valutare il rapporto qualità-prezzo, diffidare delle offerte troppo vantaggiose e preferire prodotti con indicazioni chiare sulla provenienza. La trasparenza nell’acquisto del farro non è solo una questione di qualità alimentare, ma rappresenta un sostegno concreto all’agricoltura italiana e alla salvaguardia delle varietà locali, elementi fondamentali per la biodiversità agricola del nostro territorio.

Quanto spendi per un chilo di farro di qualità?
Sotto 2 euro sospetto
Tra 2 e 3 euro accettabile
Oltre 3 euro per il top
Non guardo mai il prezzo
Compro solo biologico certificato

Lascia un commento